Tutto nasce una sera a Chicago, 1998.
A cena. Associazione Italiani in America.
Tra gli ospiti dalla madrepatria un pilota Alitalia, volato lì con un Boeing B-767.
Si parla di aviazione ovviamente, e salta fuori il ricordo di un’impresa lontana, quando un intero stormo di 24 apparecchi Italiani attraversò l’Atlantico, in un’epoca in cui solo pochissimi velivoli isolati erano riusciti nell’impresa. Finirono proprio a Chicago, partendo dalla laguna di Orbetello: erano idrovolanti, delle fantastiche macchine in legno, a doppio scafo come non se ne sono più viste, coi motori su una torre, la coda a travi, tre timoni.
L’anticonvenzionale lanciato al futuro; l’Italia che compiva un’impresa di coraggio e organizzazione che suscitava ammirazione e rispetto, e fece quei nostri connazionali lontani orgogliosi e festanti.
Era il 1933, il comandante si chiamava Italo Balbo, l’aereo era il Savoia Marchetti S55
La memoria di quell’evento, che finì sui giornali di tutto il mondo, è ancora viva; strade americane sono ancora intitolate all’uomo che lo organizzò, anche se c’è stata una guerra di mezzo.
Ma in Italia nulla.
Il pilota è un appassionato, conosce l’aereo e la sua storia, di entrambi comprende la bellezza. E il pensiero resta con lui.
Siamo al 2015; il pilota è sempre in volo ma ai comandi di un aereo che ha costruito; un biposto volutamente retrò, stile anni 30. In legno.
E’ fatto con delle tecniche nuove, macchine a controllo numerico che abbattono le ore necessarie e i costi. Tutto è progettato al computer, il CAD permette di disegnare ogni particolare, programmi di calcolo indicano dove modificare, irrobustire, alleggerire. Gli Americani ci riproducono quei magnifici motoscafi anni 50 dei film con Silvana Mangano.
Riproduzioni: ovvero partire dai disegni originali e certosinamente seguirli per ricreare un oggetto identico. Qualcuno lo ha fatto con i caccia della prima guerra mondiale.
Ovviamente facendolo ci si trova con un aereo che vola come un caccia della prima guerra mondiale; che può essere una esperienza parecchio avventurosa considerando che l’aerodinamica è una scienza sbocciata a guerra finita e che quei bellissimi falconi avevano caratteristiche di stallo assassine e ogni tanto l’abitudine a perdersi le ali.
Ma una replica invece… una replica è un progetto ispirato a quello originale, che ne ricalca il più possibile soluzioni e forme, ma modificato dove serve.
L’S55 ha volato per la prima volta nel 1924; e anche se si è rivelato sicuro e robusto era costruito con la tecnologia dell’epoca: radiatori in rame da 45 Kg l’uno, un carico d’olio da autobotte, progetti di dettaglio spesso assenti, ore e ore di manodopera che oggi costerebbero l’impossibile.
Il pilota ci pensa, ne parla, trova gente. Si chiede se esistano i progetti originali, scopre che qualcosa c’è.
C’è anche una Tesi di Laurea di qualche anno prima, che due studenti in Ingegneria Aeronautica avevano dedicato proprio all’S55, riesumando conoscenze sul legno, valutandone aerodinamica e strutture, rintracciando materiale che viene trasmesso al gruppo che ormai si sta formando.
Caddisti esperti mettono ore a disposizione: oltre mille, per creare un modello 3D che comprenda ogni singolo pezzo, centina, attacco, trave; il tutto ispirandosi ai disegni originali ma sfruttando la precisione moderna che consente costruzioni più leggere, giunzioni più efficaci; un pezzo dove prima ne servivano tre.
Il disegno è pronto, ma bisogna verificare che gli spessori siano quelli giusti, che non ci siano pesi inutili, che il volo sia sicuro, l’ammaraggio non affatichi le strutture.
Il sitka spruce dell’Alaska, il legno che Marchetti importava negli anni ’20, perfetto e senza nodi, non si trova più: i Giapponesi ne hanno comprato intere foreste per farne mobili pregiati, e lo tengono per sé.
Occorre trovare altre essenze, studiarne le caratteristiche.
E ancora fare calcoli, verificare le vibrazioni; tutte cose all’epoca affidate un po’ al genio e un po’ alla fortuna.
E siccome serve tanto del primo ma il meno possibile della seconda, ci si rivolge all’Università.
A Torino c’è un Professore che ascolta.
E a lui se ne uniscono altri.
E un altro da Reggio Calabria, e poi ancora da Roma.
Nascono altre Tesi di Laurea, ognuna su un aspetto del progetto, studenti entusiasti modellano e verificano sotto l’occhio dei Relatori; Dottori di Ricerca promettono il loro tempo; un Progettista di lunghissima esperienza si offre di coordinare lo sforzo.
Un’azienda leader, specializzata in software di progettazione, mette a disposizione software di ultimissima generazione, che accelerano notevolmente i calcoli, e addestra gli studenti ad utilizzarlo.
Altri cercano fondi e contatti, e il loro apporto è non meno prezioso.
Quelli che non servono a niente scrivono le newsletter.
Ma tutti abbiamo negli occhi l’immagine di un idrovolante che in bianco e nero nel 1933 riposa sull’acqua e man mano accelera e se ne stacca e diventa a colori e all’improvviso il tempo è oggi, ed è vero, rumoroso e bellissimo.

Volerà.